Questione di genere? No , questione d’economia, infatti in Italia le donne il pilastro delle rete informale e dell’assistenza e cura, è femminile. Un ruolo importante quello della donna che però spesso è penalizzato dal punto di vista economico infatti le nostre lavoratrici sono retribuite meno degli uomini e discriminate quando stanno per diventare madri. A confermarlo è il rapporto annuale dell’Istat. Per l’Istituto diretto da Enrico Giovannini, la catena di solidarietà femminile tra madri e figlie su cui si è fondata la rete di aiuto informale, di questo passo rischia di spezzarsi. Le donne occupate con figli sono infatti sovraccariche per il lavoro di cura all’interno della famiglia e le nonne sono sempre più schiacciate tra cura dei nipoti, dei genitori anziani non autosufficienti e dei figli adulti. Infatti quasi la metà dei bambini e dei ragazzi fino a 13 anni è affidato almeno una volta a settimana è affidato ai nonni, una volta su tre, ed una sola volta a baby sitter specializzate o no. Sale, specialmente in Lombardi, Emilia Romagna e Toscana il numero dei bimbi  che vanno al nido.
Rispetto al quadro europeo, l’Italia è veramente indietro infatti troppo poche sono le donne attive al di fuori della famiglia e, con la crisi economica le donne lavoratrici sono assai diminuite, molte poi sono le giovani madre costrette a licenziarsi o licenziate quando intraprendono una gravidanza. Ben 800.000 donne, con l’arrivo di un figlio, sono state poi costrette a lasciare il lavoro, perché licenziate o messe nelle condizioni di doversi dimettere. Un fenomeno che colpisce più le giovani generazioni rispetto alle vecchie e che appare particolarmente critico nel Mezzogiorno, dove ”pressoché la totalità delle interruzioni può ricondursi alle dimissioni forzate” scrive l’Istat. Sotto il profilo economico poi è questione di genere, infatti in media una lavoratrice prende il 20% in meno rispetto ad un collega di sesso maschile.
Un fattore di peggioramento è dato anche dalla crescita del part time (+104 mila unità rispetto a un anno prima), ”quasi interamente involontaria e concentrata nei comparti di attivita’ tradizionali” (commercio, ristorazione, servizi alle famiglie e alla persona) che presentano orari di lavoro poco adatti alla conciliazione con i tempi di vita, si legge in una nota di una famosa agenzia stampa nazionale.
Un altro indicatore del ”peggioramento della qualità del lavoro femminile secondo l’Istat, riguarda la crescita delle donne sovraistruite, ovvero quelle con un lavoro che richiede una qualifica più bassa rispetto a quella posseduta”. Fra le laureate, il fenomeno della sovraistruzione interessa il 40% delle occupate (31% tra gli uomini) e abbraccia tutto il ciclo della vita lavorativa.
Troppo spesso nel nostre donne sono costrette ad un doppio lavoro, quello per l’indipendenza economica, ovvero un lavoro sotto contratto e, quello domestico, cura della famiglia e dei figli, aumentando notevolmente il carico di stress. Per far fronte alla difficoltà di conciliare il lavoro e la famiglia (circa i tre quarti del lavoro familiare delle coppie è compito della donna), confermando una tendenza documentata a partire dalla fine degli anni Ottanta, le lavoratrici riducono il tempo dedicato al lavoro familiare, operandone una redistribuzione interna, diminuendo l’impegno nei servizi domestici e dedicando più tempo ai figli.