Le reazioni all’annunciato ritiro berlusconiano nel centro destra, non solo lucchese, destano interesse per quanto ci sarà da aspettarsi nelle prossime settimane. Immaginavo un lutto più lungo, in determinati ambienti finanche più sentito ed intenso condito da qualche pianto isterico, mentre è un fatto che il lutto venga vissuto con tranquilla e composta rassegnazione. Pare di trovarsi di fronte a quei tristi casi in cui la dipartita del conoscente, in quanto annunciata e ritenuta prossima ed inevitabile, abbia consumato il dolore e la speranza nel tempo rendendo il cordoglio più accettabile e sereno.
Rattristano, ma fanno pensare, coloro i quali si aspettano ancora, per sincera affezione o prudente calcolo, che per qualche messianica via il novello Lazzaro risorga ancora. Rattrista perché non considerare chiuso il ciclo politico del Cavaliere significa non riconoscere e falsare l’attuale quadro politico italiano ed in particolare quello di un centro destra politico in coma irreversibile, tenuto in vita esclusivamente dall’ombra diafana della sua rappresentanza parlamentare figlia sciagurata della vittoria elettorale del 2008.
Lascia pensare perché questo silente attaccamento alla figura del leader maximo chiarisce ancora meglio il quadro di totale smarrimento in cui il suo congedo lascia non solo tutti i quadri dirigenti del Pdl quanto la superstite prole elettorale, oggi vicina al 13% nelle intenzioni di voto. Disorientamento consapevole e fin troppo intenzionale eredità di un Berlusconi che può certo consigliare ma non certo pretendere che una mancata classe dirigente possa in nemmeno due mesi, non tanto preparare primarie credibili nelle forme e nei contenuti, quanto individuare un erede o un reggente, sciogliendo in cinquanta giorni nodi gordiani vecchi dai 5 (fondazione Pdl) ai 18 anni (discesa in campo).
Lo sanno bene nello stato maggiore del partito, dove non pochi orfani consci del peso di una eredità assai dilapidata quanto di opinabili investiture, hanno posto in nemmeno 24 ore punti fermi e paletti dettati perlopiù dai propri limiti, timorosi che da una partecipazione libera e da una serena competizione – come vuole il dettato testamentario – si produca non quel dibattito e quel confronto assenti da sempre bensì divisioni e scontri, non l’emergere di nuove figure affrancate ed indipendenti dalle correnti e dalle attuali clientele, bensì un vano e vanesio protagonismo da scacciare come fosse un morbo, del quale però gli unici portatori sani pare stiano proprio al vertice.
Anziché esser lieti di come l’ultima concezione del presidente avviasse all’atteso lieto evento, come una coppia moderna i tutori del partito si sono subito preoccupati di chiarire come il nascituro, quasi quasi non voluto, sarà invece figlio unico per via delle doglie. Tanto grande è il lascito del padre nobile, tanto più disattesa appare la sua esecuzione.
Le circostanze però, insegna la storia, trovano sempre i loro uomini e tanti eletti, iscritti e dirigenti di questo partito, insieme a molti allontanatisi o mai avvicinatisi, potrebbero invece cogliere l’occasione delle primarie per accelerare con l’attesa emancipazione dal presente quel percorso di vero ed indispensabile rinnovamento del centrodestra italiano che, se altrimenti compiuto di sola facciata, lo condannerebbe a scenari svelati, perlopiù centristi, con relative divisioni e derive populiste di destra inutili per definizione.
Per fare questo il primo passo è farsi sentire, chiedere ed invocare, se del caso mendicare – e poi vigilare – sulla più ampia, libera, gratuita e trasparente partecipazion, sia per l’elettorato passivo che per quello attivo, lasciando la parola e l’agire a chi per troppo tempo nel centro destra non l’ha avuta. Primarie fatte bene, quindi, non perché bene regolamentate ed organizzate, ma perché il contenuto di quelle regole risponde esattamente alle aspettative dell’elettorato superstite e potenziale del centro destra italiano.
Se e soltanto se questo primo passaggio viene compiuto si può pensare al dopo, a recuperare la necessaria credibilità e fiducia per rilanciare, anche con l’aiuto delle primarie, un soggetto politico morto, scegliendo dal basso quadri dirigenti e candidati per ogni livello del partito e del governo del territorio. Emanciparsi ed aprirsi, dunque, senza avere sempre paura di avere un po’ di coraggio.
Vittorio Fantozzi
Mozzo della Costa Pdl
Classe 1978
Sindaco di Montecarlo