Lucca –
il simbolo dell’inquisizione |
davanti ad una bolla pontificia c’era poco da fare, molti di questi dissidenti si rifugiarono per paura di essere perseguitati a sua volta nella (anche allora) neutrale Svizzera. Fu così, che volenti o nolenti nei primi anni del 1600 la complessa macchina dell’inquisizione cominciò a funzionare a pieni regime, specialmente (nello specifico) quando fu completato il trasferimento della capitale ducale da Ferrara (donata alla Santa Sede) a Modena. L’ufficio inquisitorio di Modena (così come gli altri) aveva il compito di salvaguardare l’integrità della fede e aveva una duplice funzionalità , dividendosi praticamente in due rami distinti, da una parte svolgeva attività giudiziaria come un vero e proprio tribunale, dall’altra faceva attività censoria, relativa al controllo della stampa, in particolare dei libri, i due ordini si fondevano quando venivano violate le leggi in materia e nella ricerca del colpevole, a capo di tutto questo apparato c’era l’inquisitore generale, che una volta insediato nella nuova capitale estense cominciò a fare un po’ d’ordine e in una nota in calce del 1600 nell‘â€Inventario delle robbe del Sant’Ufficio dell’inquisizione di Modonaâ€Â prende ufficialmente giurisdizione sui territori della Garfagnana: “Con occasione della felice memoria di Clemente VIII, furono presi il possesso della città di Ferrara e fatte tre inquisizioni: quella di Ferrara, quella di Reggio e quella di Modana. A Modana furono sottoposte l’insigne Abbazia di Nonantola, la città di Carpi e quella parte di Garfagnana che in temporale è soggetta alli signori duchi di Modana et in spirituale parte al Vescovato di Lucha et parte a quello di Sarzanaâ€. Si, perchè ad onor del vero era nato qui un vero e proprio guazzabuglio. La nuova sistemazione di questi territori non si concretizzò tanto facilmente, molti furono i ritardi. Cesare d’Este duca di Modena aveva in quel tempo conti aperti con i lucchesi che sfoceranno in due guerre, per di più nel territorio già esistevano alcune comunità che erano sotto Lucca(Castiglione, Gallicano Minucciano), ma non solo, il dilemma più grosso rimaneva nel fatto che l’autorità civile aveva sede a Modena, mentre religiosamente parlando la valle faceva capo a Lucca e a Sarzana e in una lettera del 29 settembre 1601 l’inquisitore generale di Modena scriveva alla sacra Congregazione di Roma dicendo che nonostante l’avvenuta ripartizione, la provincia della Garfagnana “non fu consegnata ne a questa ne a quella inquisizione, per il che al presente non riconosce inquisizione alcunaâ€, fu risolto tutto in men che non si dica, tutti i territori ad ovest dell’Appennino erano sotto l’inquisizione modenese. Per un po’ di tempo la Garfagnana godè nell’essere in questo limbo
La sede della Santa Inquisizione a Modena oggi sede di un istituto d’arte |
amministrativo, nessuno infatti in quel periodo fu indagato, incarcerato o condannato, ma i tempi stavano per cambiare. Una volta definite tutte le questioni, l’inquisizione stabilì in loco tre congregazioni locali, ognuna a capo aveva un vicario, una si stabilì a Castelnuovo Garfagnana, una al Sillico e un’altra alle Verrucole presso l’inespugnabile fortezza omonima. Grazie a questi sedi distaccate l’inquisitore si poteva mantenere in costante consultazione con il territorio, dove così poteva avere occhi e orecchie dappertutto e in realtà bastava veramente poco per accusare una persona. Le denunce potevano essere fatte tranquillamente, bastava “ho sentito dire che…â€Â ed era fatta, non mancavano inoltre casi di procedimenti per auto denuncia, avete capito bene, ci sono frequenti casi in cui il “colpevoleâ€Â dietro sollecitazione del prete confessore si presentava spontaneamente davanti all’inquisitore, naturalmente era possibile procedere anche per ufficio senza denuncia alcuna e una volta constatata la denuncia e indagato il presunto colpevole si svolgeva il processo che si faceva sempre nella sede centrale di Modena, davanti all’inquisitore generale. Il processo avveniva in una o più sedute, in varie fasi, ciascuna delle quali eventualmente conclusiva, con l’interrogatorio dei testi e dell’imputato, in buona parte dei casi per i fatti più gravi come l’accusa di stregoneria si arrivava quasi sempre alla confessione del reo, estorta con la tortura, che (fatto curioso) doveva essere fatta sotto parere medico, l’imputato doveva essere in buona salute per affrontare tale supplizio…e che supplizio!!! I metodi di tortura erano fra i più svariati e fantasiosi. Fra i più diffusi c’era il cosiddetto “tratto di cordaâ€Â che consisteva nel legare con una lunga corda i polsi del malcapitato dietro la schiena e poi nell’issare il corpo per mezzo
il famoso “tratto di corda†|
di una carrucola, per aggravare gli effetti la corda veniva ripetutamente allentata di colpo e poi bloccata, ciò provocava lo strappo di muscoli e la rottura delle ossa delle braccia. Altra tortura molto presente nei documenti era la “pulizia dell’animaâ€, questa più che una tortura era proprio un atto dovuto, se mi posso permettere il termine, dal momento che l’anima di una strega o di un eretico si credeva corrotta e sporca, andava allora pulita, prima del giudizio le vittime venivano forzate a ingerire acqua calda, carbone e sapone, la famosa frase “sciacquare la bocca con il sapone†risale proprio a questa tortura, non di meno si può dimenticare “l’annodamentoâ€, tortura specifica per donne, si attorcigliavano i capelli a un bastone dopodichè robusti uomini ruotavano l’attrezzo in modo veloce, provocando enormi dolori, in alcuni casi si arrivava a togliere lo scalpo. Risparmio al sensibile lettore di continuare in questo macabro elenco, ma assicuro che la lista sarebbe ancora lunghissima. Rimane il fatto che per terminare questa immane sofferenza l’imputato confessava ed era sicuramente meglio morire che continuare a patire in questo modo. La verbalizzazione di confessione portava quasi sempre il segno di croce come vera e propria firma, visto che era quasi sempre il popolo che cadeva sotto la ferocia dell’inquisizione. La sentenza di condanna o di assoluzione veniva emessa dall’inquisitore generale e dal vescovo competente, anche se l’ultima parola spettava sempre alla Congregazione Romana. Le pene non si concludevano sempre con la condanna a morte, a chi andava bene “pagava†spiritualmente con l’obbligo di partecipare a messe varie e rosari, ad altri toccava di pagare moneta suonante, tale pena toccava spesso agli ebrei che sapendoli ricchi e benestanti venivano dissanguati dei loro averi, non si disdegnava come pena nemmeno l’esilio perpetuo o temporaneo, la pubblica fustigazione, la condanna ai remi per alcuni anni sulle navi pontificie e il carcere secolare. La Garfagnana però può ritenersi fortunata. Nei primissimi anni del 1600 conosciamo solo cinque procedimenti e solo due contemplavano l’accusa di stregoneria, il più famoso rimane quello riferito alle streghe di Soraggio(per leggere la storia clicca qui http://paolomarzi.blogspot.itle-streghe-di-soraggio-un-processo-di.html) . Per il resto, in tutto il restante secolo sono circa trecento i processi svolti a carico dei garfagnini. Le accuse variavano, dalle bestemmie, al possesso e lettura di libri proibiti, all’inosservanza dei precetti della Chiesa, bigamia, sollecitazione erotica. Per
La lista dei libri proibiti dal Sant’Uffizio |
quanto riguarda i possedimenti lucchesi, i procedimenti sono solamente quattro, tre dei quali colpiscono Minucciano e uno, una garfagnina abitante a Lucca, anche in questi processi la stregoneria era estranea. Ma fra tutti questi poveri diavoli ci fu un personaggio particolare ad essere accusato di preposizione ereticale, lui era Fulvio Testi (n.d.r: a cui è intitolata la via principale del centro storico di Castelnuovo), pochi forse conoscono questo personaggio che fu Governatore di Garfagnana dal 1640 al 1642, anch’egli poeta, proprio come il suo più illustre predecessore Ludovico Ariosto. Infatti fu lui a prendere il suo posto nella rocca castelnuovese. Fulvio Testi fu un personaggio scomodo, molto vicino più ai Savoia che ai suoi “padroni†gli Estensi, in aggiunta era pure di idee anti spagnole (nazione cattolicissima…)e forse proprio per questi motivi rimase nelle maglie del Sant’Uffizio quando era reggente di Garfagnana. Correva il mese di marzo, anno di grazia 1641, quando venne inviata dal Vicario Sanzio Corsi una lettera all’inquisitore modenese Padre Giacomo Tinti da Lodi, questa missiva riportava le confidenze del capitano di Camporgiano, dove secondo lui, il governatore Testi avrebbe affermato: – che sia lecito a un principe o altro signore far ammazzare chierici (n.d.r: uomini di chiesa)di qualsivoglia sorte senza peccato per buon governo, e che così gli aveva detto un teologo-. Nonostante tutto questa vicenda non finì in un processo, sappiamo bene come vanno le cose e oggi come ieri il peso politico conta e contava sempre…La suddetta lettera parti senza dubbio verso Modena e verso il padre inquisitore, ma insieme a quella furono mandati in dono a quanto pare “un quartuccio diÂ
Fulvio Testi ritratto di Francesco del Cairo |
cappari minutiâ€, l’inquisitore fu “preso per la golaâ€e la severità con cui di solito operava fu calmata con l’ingordigia e la…ragion di stato. Al povero Fulvio Testi comunque le cose non andarono bene negli anni che seguirono. Le sue simpatie filo francesi verso la casa savoiarda furono scoperte nel 1646 dal duca di Modena e per questo imprigionato nella fortezza cittadina con l’accusa di alto tradimento, li troverà la morte sette mesi più tardi. Ma questa è un’altra storia, rimane il fatto di una verità assoluta, quando si dice che la più grande arma di distruzione di massa è l’ignoranza…
Fonte Verde Azzurro