LUCCA. Un pool di avvocati e commercialisti sono riusciti a chiudere un contenzioso che rischiava di trascinarsi in modo deleterio per la «Conte of Florence Distribution srl» a cui il tribunale fallimentare presieduto da Giulio Giuntoli ha dato l’okay lo scorso giugno per l’esercizio provvisorio. Perché non era così scontato che il contenzioso sul marchio – pendente al tribunale delle imprese di Roma – potesse arrivare ad un riconoscimento del suo utilizzo non solo sul territorio italiano. In pratica non c’era la certezza che i giudici della Capitale consentissero al sequestro del marchio che era di proprietà della «Pentacompany». La strategia del pool di avvocati – composto da Carlo Di Bugno, Enrico Marzaduri, Francesco Guastapaglia, Federico Ungaretti Dell’Immagine e supportato da Gaetano Anastasio e Nicola Della Santina – ha comportato la rinuncia alla causa cautelare pendente al tribunale delle imprese di Roma riproponendo alla sezione fallimentare del tribunale di Lucca l’azione finalizzata ai presupposti revocatori della cessione del marchio nel 2015 alla bulgara «Pentacompany». La riproposizione in salsa locale della revocatoria datata settembre 2018 porta ad un’immediata interlocuzione con l’avvocato Michele Petriello, uno dei legali della società di Sofia. Inizia un dialogo tra le parti che dopo oltre tre mesi porta alla restituzione del marchio alle stesse condizioni in cui era stato acquistato dalla «Pentacompany».
Un lavoro che non si è ancora concluso e che comunque porta solidità ad un gruppo con oltre cinquanta punti vendita (outlet o retail) solo in Italia. In Toscana Conte of Florence è presente con esercizi commerciali a Lucca, Forte dei Marmi, Livorno, Pisa aeroporto Galileo Galilei, Campi Bisenzio e Firenze che vede negozi a palazzo Strozzi, all’aeroporto Amerigo Vespucci e al centro commerciale i Gigli.
Nel 2017 – a nemmeno 4 anni dall’acquisto della Cof attraverso la creazione nel 2014 della «newco» «Conte of Florence Distribution spa» da parte della «Dekker&Kejo» di Altopascio che nel 2012 aveva affittato il ramo d’azienda subentrandone
alla gestione – la situazione debitoria era già insostenibile: 3,5 milioni dovuti ai creditori privilegiati, 17,6 ai chirografari. E il rigetto del piano concordatario da parte del tribunale fallimentare si basava su pregresse traversie aziendali. —
L.T.
Fonte: Il Tirreno