La misura cautelare eseguita dalla guardia di Finanza nei confronti di Antonio Pane: è accusato di aver presentato un assegno falso per il concordatoÂ
L’obiettivo – grazie all’acquisto delle quote da parte di una società cinese e la rappresentazione di attività inesistenti per dieci milioni di euro – era quello di arrivare all’ammissione al concordato preventivo, precisa una nota della Gdf, ottenendo così un’impresa con margini di recupero e titolare (una volta che questo fosse rientrato) di un celebre marchio: una azienda con un piano concordatario approvato quindi pronta per essere rivenduta.
Le indagini, eseguite nei confronti di quattro soggetti a vario titolo responsabili di reati fallimentari, truffa aggravata e ricettazione, hanno riguardato la procedura di concordato preventivo in continuità aziendale cui era soggetta la Conte of Florence distribution SpA, che era stata in passato titolare del celebre marchio di moda “Conte of Florence”. Nel maggio 2018 era intervenuta la cessione dell’intero capitale sociale a una società con sede legale ad Hong Kong la quale, con l’impegno di immettere ulteriori risorse avrebbe ottenuto la retrocessione del marchio dalla società che ne era all’epoca proprietaria. Contestualmente all’acquisto delle quote, faceva ingresso nel consiglio di amministrazione, tra gli altri, Antonino Pane, consulente della predetta società di Honk Kong, il quale aveva garantito l’intera operazione di ricapitalizzazione e finanziamento soci con il deposito di un assegno di dieci milioni di euro, all’ordine del concordato preventivo, ed apparentemente emesso da una filiale berlinese della Commerzbank.
Le indagini avrebbero invece dimostrato che il titolo di credito era falso. Nel giugno 2018 il sequestro delle quote sociali della Conte of Florence Distribution, aveva scongiurato questo pericolo. La spa è fallita proprio la scorsa estate ma da gennaio è riuscita a tornare in possesso del suo storico marchio: attualmente è in esercizio provvisorio finalizzato a un completo rilancio dell’attività .
Fonte: Il Tirreno