
La doccia fredda del 30% di dazi USA è piovuta sulle merci europee quando l’ipotesi su cui si stava ragionando era quella, già temibile, del 10%. Non c’è ancora nulla di definitivo, dal momento che il nuovo regime daziario diventerà operativo dal 1° agosto e che le prossime due settimane saranno contrassegnate da un dialogo – probabilmente in parte conciliante e in parte punitivo – tra Unione Europea e Stati Uniti: sembra esserci qualche apertura, ma la preoccupazione tra le aziende è intensa.
Le esportazioni totali dell’area Lucca-Pistoia-Prato verso gli Stati Uniti sono medie degli ultimi anni sfiorano gli 800 milioni annuali, quasi esclusivamente dovuti a prodotti manifatturieri in crescita; il mercato americano rappresenta il 7,6% del totale delle esportazioni delle tre province. Le importazioni, meno rilevanti ma comunque significative, possono essere stimate in 180 milioni annuali (3,5% del totale), di cui l’85% costituito da prodotti manifatturieri.
I settori dell’area interessati alle esportazioni verso gli Stati Uniti sono per il 20% macchinari e apparecchi, principalmente macchine per l’industria cartaria e tessile (160 milioni all’anno nell’ultima media); per questi prodotti il mercato americano vale il 50% del totale, ed é quindi il primo in ordine di importanza. Un altro 20% del valore delle esportazioni è rappresentato da prodotti alimentari, e anche per questi gli Stati Uniti sono il primo mercato di riferimento con una quota del 30%. Gli Stati Uniti sono il primo mercato, relativamente all’area di Confindustria Toscana Nord, anche per l’industria della pietra (quota del 40% del totale delle esportazioni del settore) e le calzature (quota del 20%). Sono il secondo mercato per l’industria farmaceutica e i prodotti in metallo, con una quota, comunque significativa, del 17%. Un caso particolare è il 16% recente della nautica e dei trasporti ferroviari: si tratta di un valore che oscilla fortemente da un anno all’altro a causa del tipo di prodotto. Le quote relative ad altri settori, anche se inferiori, sono comunque significative, dal 9% degli articoli di abbigliamento al 6% dei tessuti e filati e al 4% del settore cartario.
“Il problema dei dazi americani è cruciale per l’area di Lucca, Pistoia e Prato, sia in termini diretti che indiretti – commenta la presidente di Confindustria Toscana Nord, Fabia Romagnoli -. L’introduzione di un aumento così significativo dei dazi si aggiunge al corrente tasso di cambio euro/dollaro, che da solo costituisce un forte ostacolo alle esportazioni. Oltre all’effetto immediatamente misurabile sui singoli prodotti, il rischio più grave è di sistema, che colpirà le filiere produttive nel loro insieme, comprese quelle americane. Le importazioni di semilavorati negli Stati Uniti, per esempio, colpiranno la produzione del stesso paese importatore. Non bisogna dimenticare che il problema esiste già: per esempio, i dazi sull’acciaio e l’alluminio erano già al 25% prima del ritorno alla presidenza di Trump, che li ha aumentati al 50% solo per la materia prima; ma a partire da marzo c’è stato anche l’estensione dell’imposizione ai prodotti derivati, che sono diventati estremamente costosi negli Stati Uniti. La crescita economica mondiale, sia nei paesi occidentali che in altri, è stata storicamente favorita da una concezione del commercio internazionale che favorisce la libera circolazione delle merci. Le barriere tariffarie di un paese importante come gli Stati Uniti ne generano altre, fanno aumentare i prezzi e l’inflazione, deprimono i consumi: ne risentiremo tutti, probabilmente compresi gli stessi Stati Uniti. L’Unione Europea dovrà adottare una posizione equilibrata, realistica e ferma, sperando in una riduzione meno impattante di quella prevista. Ma allo stesso tempo è necessario che a livello europeo (oltre che di governo italiano, per quanto possibile) questa occasione sia vista come un forte incentivo a orientare le proprie politiche economiche verso uno sviluppo industriale maggiore. Le strategie di innovazione e sostenibilità devono essere orientate verso obiettivi di crescita e realisticamente compatibili con questi ultimi. A livello nazionale rimane, in gran parte non risolto, il problema dei costi energetici”.
“Nel caso specifico di Prato – aggiunge Romagnoli – alcuni prodotti avevano già dazi importanti: per esempio i tessuti cardati e pettinati a maggioranza di lana, che sono già al 25% del valore e che quindi vedrebbero la tariffa più che raddoppiata; ma anche alcune tipologie di capi di abbigliamento femminili sono già oggi al 14,9% e alcuni accessori superano il 10%. Le macchine tessili che Prato esporta verso gli Stati Uniti, soprattutto per la produzione e la finitura dei tessuti non tessuti, hanno attualmente un dazio nullo o minimo: e non a caso, rappresentano una risorsa indispensabile per l’industria tessile americana. Anche se la quota di esportazioni della provincia di Prato verso gli Stati Uniti è solo del 4,9%, pari a meno di 160 milioni di euro, i dazi influiranno direttamente soprattutto su alcuni prodotti che caratterizzano fortemente il nostro sistema di produzione. Ma la preoccupazione principale rimane quella generale: le catene di approvvigionamento e la possibile, per non dire probabile, strozzatura del commercio internazionale.”
“Gli Stati Uniti rappresentano per Pistoia il 6,4% del totale delle esportazioni, per un valore di 114 milioni di euro – aggiunge il vicepresidente di Confindustria Toscana Nord, Massimo Capecchi -. Per tre settori qualificanti della nostra provincia – alimentari, calzature e, con le dovute specifiche, macchinari e apparecchi – il mercato americano rappresenta il principale sbocco commerciale. Per questo motivo, non è sufficiente esprimere solo preoccupazione, ma è necessario chiarire che se la situazione tariffaria annunciata non cambia, le conseguenze saranno gravi e in alcuni casi irreversibili. Alcuni colleghi, con cui ho parlato, mi dicono che fino a oggi, distribuendo gli aumenti già avvenuti sul prodotto finale, sono stati in grado di rimanere sul mercato, erodendo comunque i margini di profitto derivanti da quel mercato. Oltre un certo punto non ha senso andare, e con un ulteriore onere del 30% diventerà impensabile esportare negli Stati Uniti. Al momento sappiamo che c’è una corsa per consegnare – per chi può farlo – entro il 31 luglio, mentre sono bloccati gli altri ordini, anche quelli già acquisiti. La dimensione delle nostre aziende non consente, in molti casi, nemmeno di pensare di aprire filiali, laboratori o divisioni oltreoceano; dove comunque mancano le condizioni preesistenti per farlo (manodopera qualificata, conoscenza e disponibilità delle materie prime, una rete di subfornitori di cui fidarsi). In questa atmosfera di caos e non solo di incertezza, solo una buona politica può contribuire a rasserenare il clima e a ripristinare condizioni accettabili di commercio e impresa.”
“La quota di esportazioni della provincia di Lucca verso gli Stati Uniti è piuttosto significativa, pari al 9,4% del valore totale delle esportazioni nel 2024, con un totale di 525 milioni di euro – conclude il vicepresidente di Confindustria Toscana Nord, Tiziano Pieretti -. Saranno sicuramente colpiti direttamente alcuni settori come la meccanica per la carta, attualmente senza dazi; l’alimentare, con dazi oggi piuttosto contenuti e differenti da un prodotto all’altro; l’industria della pietra, con alcuni prodotti senza dazi e altri con percentuali di qualche unità. Tutti settori comuni nel nostro territorio e che hanno negli Stati Uniti il loro mercato principale. Ma il problema va ben oltre la quantificazione dell’effetto diretto su alcuni settori rispetto ad altri. Una quantificazione che è quasi impossibile calcolare realisticamente in anticipo, dato che bisogna tenere conto di fattori complessi come la sostituibilità di alcuni prodotti gravati da dazi con altri già esistenti o meno nel mercato interno americano e la velocità di realizzazione di nuovi impianti sul posto, obiettivo dichiarato ma forse utopico dell’amministrazione Trump. In ogni caso, la questione è molto più ampia, ha una portata sistemica molto estesa e può riguardare veramente tutti i prodotti e tutti i paesi, con un rallentamento dell’economia mondiale dagli effetti decisamente dannosi. In questo contesto, l’Unione Europea deve mirare a proteggere il proprio sistema produttivo: non possiamo permetterci né chiusure né delocalizzazioni.”
Fonte: Ufficio stampa Confindustria Toscana Nord
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2025-07-19 11:12:00