
di Giacomo Martini
LUCCA – Gianni Amelio è nato in Calabria e si è trasferito a Messina per studiare filosofia. Durante il corso di laurea ha iniziato ad interessarsi al cinema e alla critica.
Successivamente si trasferisce a Roma, dove inizia a lavorare come aiuto regista, collaborando anche con autori prestigiosi come Vittorio De Seta e Gianni Puccini. Parallelamente intraprende anche l’attività di regista televisivo per la Rai, iniziando ad assistere il maestro Ugo Gregoretti e realizzando diversi lungometraggi sperimentali, alcuni dei quali sono particolarmente apprezzati dalla critica, come La morte al lavoro, che ha vinto il premio FIPRESCI al Festival di Locarno, e Il piccolo Archimede, per cui Laura Betti è stata premiata al Festival di San Sebastian.

Il vero e proprio debutto cinematografico arriva però solo nel 1983 con Colpire al cuore, un film incentrato sul terrorismo, che vede la collaborazione alla sceneggiatura di Vincenzo Cerami e la partecipazione di un cast prestigioso che include Jean-Louis Trintignant e Laura Morante. In questo film Amelio mostra già i tratti caratteristici della sua poetica, caratterizzata da un approccio stilistico influenzato dal neorealismo e da una predilezione per i temi più scottanti della politica e per le maggiori contraddizioni sociali del nostro paese.
Five years later, the director decides to tell the story of I ragazzi di via Panisperna, with his historical adaptation receiving positive reviews from critics.
Tuttavia, la prima vera acclamazione arriva solo nel 1989 grazie a Porte aperte, che racconta la storia di un giudice siciliano illuminato, interpretato magistralmente da Gian Maria Volonté. Il film, presentato alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes, riceve un apprezzamento unanime, tanto da aggiudicarsi il Nastro d’Argento, il David di Donatello e persino l’European Film Awards e la nomination all’Oscar come Miglior film straniero.
Negli anni Novanta Amelio realizzerà alcuni autentici capolavori.
Il ladro di bambini è un atipico road movie che racconta la storia di un inesperto carabiniere (la rivelazione Enrico Lo Verso), incaricato di scortare da Milano a Palermo due bambini in un istituto minorile. Intenso e spiazzante nel descrivere le geometrie emotive scatenate dai personaggi, il film vince il Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes del 1992, oltre a numerosi altri riconoscimenti.
Due anni dopo, con L’America, premiato con l’Osella d’Oro al Festival di Venezia, il regista affronta un altro tema problematico e complesso, il dramma dell’emigrazione albanese e del rifiuto di accoglienza degli italiani, affidandosi nuovamente al volto ruvido e spigoloso di Lo Verso e a quello risoluto di Michele Placido.
Nel 1999 è la volta dell’ambizioso affresco Così ridevano, terza collaborazione con Lo Verso, una sorta di epopea familiare che indaga le origini delle disuguaglianze contemporanee, mostrando le distorsioni dell’emigrazione meridionale nella Torino industriale degli anni Sessanta. Una delle opere più articolate e al tempo stesso commoventi del regista, che ha meritatamente ottenuto il Leone d’Oro al Festival di Venezia.
Il nuovo millennio per l’autore si apre con un’opera intima e delicata, Le chiavi di casa (2004), presentato ancora a Venezia e tratto dal libro Nati due volte di Giuseppe Pontiggia, che questa volta si avvale del talento di Kim Rossi Stuart per indagare il difficile rapporto tra un padre e un figlio disabile. Due anni dopo il regista torna ad interessarsi dell’analisi socio-politica contemporanea, e in particolare della globalizzazione, con La stella che non c’è, ispirato al romanzo La dismissione di Ermanno Rea, con un notevole Sergio Castellitto nei panni di un responsabile della manutenzione di una fabbrica italiana che durante un viaggio in Cina scopre una realtà inaspettata.

Ma Gianni Amelio si è anche dedicato ad altre attività oltre a quella strettamente registica: ha insegnato per alcuni anni al Centro Sperimentale di Cinematografia e dal 2008 ha preso il posto di Nanni Moretti come direttore del Torino Film Festival.
Dopo cinque anni, il regista è tornato dietro la macchina da presa con la sua prima produzione francese, Il primo uomo, un adattamento dell’omonimo romanzo di Albert Camus. Il film, interpretato da Jacques Gamblin, Maya Sansa e Claudia Cardinale, sarà presentato al Festival di Venezia 2011. Continua la sua attività di regista e sceneggiatore e ricordiamo gli ultimi film diretti, Campo di battaglia (2024), e opere precedenti come Hammamet (2020), Il signore delle formiche (2022), Il ladro di bambini (1992) e Lamerica (1994).
Il suo film Campo di battaglia, presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, è un racconto ambientato in un ospedale militare alla fine della Prima Guerra Mondiale che esplora il rapporto tra l’uomo e la morte, piuttosto che essere un tipico film di guerra.
2025-09-24 14:59:00