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[ALTOPASCIO] «La gioielleria un paravento per la ricettazione dell’oro»

PISA. L’attività di facciata nascondeva quella reale. Più ricettatore che gioielliere. Il negozio utilizzato come strumento per nascondere e dissimulare il vero business: acquistare e rivendere oro e preziosi rubati.

È l’istantanea scattata dal Tribunale del Riesame, e fatta propria dalla Cassazione, per descrivere Vincenzo Celentano, 56 anni, titolare di un laboratorio orafo a Pontedera agli arresti domiciliari nell’ambito dell’operazione “Golden Daytona” condotta dai carabinieri pontederesi e coordinata dal magistrato Paola Rizzo.

È stata depositata la sentenza della Suprema Corte, presidente di sezione Piercamillo Davigo, con la quale i giudici di legittimità hanno respinto i ricorsi dei legali delle sei persone arrestate (una è latitante) per ricettazione e riciclaggio. La filiera illecita, secondo l’ipotesi dell’accusa, vedeva due slavi impegnati a reperire oro e gioielli attraverso furti e rapine. Due orafi compravano gli oggetti preziosi rubati che poi venivano venduti a due gioiellieri, pronti a offrirli ai clienti. Pezzi pregiati, ripuliti dall’origine illegale grazie alla fusione, rubati a Pisa, Riglione, Terricciola, ma anche a Camaiore, Collesalvetti, Vicopisano, Cascina, Casciana Terme.

Sono ai domiciliari oltre a Celentano, i gioiellieri Giuseppe Cerri, 48 anni, di Porcari e Rubio Cerri, 53 anni, nato a Montecarlo e residente ad Altopascio, fratelli in affari con due negozi a Lucca; Pietro Spinella, 58 anni, originario di Partinico (Palermo), domiciliato a Cecina.

In carcere si trova Avdus Haliti, 22 anni, di Coltano, mentre è latitante lo zio Agim Zuka, 35 anni, residente in via Podere Cincinnato. Di lui la Cassazione scrive motivando la necessità della cella «in considerazione dei precedenti penali per i furti in casa e della capacità di procurarsi armi da fuoco».

Le indagini dei carabinieri sono state costruite con pedinamenti, riprese video e intercettazioni ambientali e telefoniche. Per gli inquirenti «Celentano utilizzava l’attività di gioielliere come un paravento, essendo dedito in via esclusiva alla ricettazione di oro e preziosi, attività illecita grazie alla quale nel corso degli anni ha accumulato un cospicuo patrimonio mobiliare e immobiliare (otto immobili, depositi e titoli per circa 240mila euro, contanti per 190mila euro), pur a fronte di redditi dichiarati in misura assai modesta, al limite della soglia di povertà». Non solo. Celentano nel 2013 è stato condannato con sentenza diventata irrevocabile, per ricettazione. Un’inclinazione professionale messa a reddito con il negozio come paravento legale «che gli ha consentito di approfittare delle occasioni per delinquere come dimostrano gli innumerevoli episodi contestati senza soluzione di continuità nell’ampio lasso di tempo temporale preso in esame».

Le telecamere hanno «consentito di accertare rapporti stabili e continuativi tra Celentano e i fratelli Cerri finalizzati alla cessione di oggetti preziosi e oro di provenienza illecita».

Non meno gravi gli indizi

di colpevolezza sottolineati dalla Cassazione per Spinella, di cui viene evidenziata «la pervicacia nella condotta delittuosa, protrattasi fino al 21 aprile 2016, quando fu trovato in possesso di vari oggetti preziosi, molti dei quali riconosciuti dalle persone offese».

Fonte: Il Tirreno