Porcari (LUCCA) –
Il caso del sindaco di Porcari che querela un cittadino per un commento su Facebook è la spia di un problema comune
No, non si può fare. Non si può trasformare Facebook – o un qualsiasi altro social network – nello sfogatoio personale delle proprie lagnanze, fino a toccare il territorio dell’insulto, della calunnia, del codice penale. Una notizia dell’ultima settimana mi ha particolarmente colpito: la decisione del sindaco di Porcari Leonardo Fornaciari di querelare un cittadino del proprio Comune accusandolo di aver diffamato l’ente da lui rappresentato con una serie di commenti postati in estate.
Chi conosce Fornaciari sa che si tratta di una persona certo non incline a utilizzare mezzi estremi come una denuncia nei confronti di un suo concittadino. Eppure il tenore di quei commenti lo ha convinto a un passo che certo non ha fatto a cuor leggero. Perché anche nel giusto e doveroso diritto di critica fra cittadini e amministratori, fra elettori e rappresentanti, c’è un limite che l’assuefazione agli insulti su Facebook non può spingere ogni giorno un metro più in là . Un limite che poi, semplicemente (ma evidentemente per qualcuno non è tanto semplice), è quello tracciato da un comune senso di educazione e di rispetto che dovrebbe valere sia al bar che dietro una tastiera e uno schermo.
Ma anche senza arrivare agli estremi del caso di Porcari, pare abbastanza evidente che ci sia un problema diffuso di gestione della comunicazione via Facebook. Perché non si può dire (o meglio, scrivere) quello che ci passa per la testa senza pensare alle conseguenze. O meglio, pensando che le conseguenze possano essere in qualche maniera attenuate dal mezzo utilizzato. Un paio di esempi. Un medico assai conosciuto del San Luca, poche settimane fa, ha scritto un post nel quale attaccava pesantemente l’Asl, contravvenendo anche al codice di comportamento dell’azienda sanitaria. Alla fine è stato “convinto†a cancellare il post.
Sempre in ambito sanità : una donna ha criticato la propria pediatra (citandola per nome e cognome), chiedendo poi consigli per sostituirla. La dottoressa l’ha saputo, si è risentita e ha “ricusato†l’assistita.
Esempi che ci dimostrano come tutti, davvero tutti, rischiamo di cadere in questi tranelli. Senza distinzione di professione, età , sesso, condizione sociale.
Tutti possibili vittime della polarizzazione imperante sui social network che, tra l’altro, è oggetto di studio di Walter Quattrociocchi, a lungo professore Imt tra le mura di San Francesco, che ha analizzato come tutti cerchiamo di muoverci, su Facebook & C., in un territorio che sia all’interno delle nostre convinzioni acquisite – giuste o sbagliate che siano.
Serve consapevolezza, insomma. Soprattutto da parte di chi ha un ruolo pubblico, ma anche di chi vuole criticare chi ha una carica pubblica. Davvero in questo caso si può dire che la campagna di Zuckerberg suona per tutti noi. —
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Fonte: Il Tirreno