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PORCARI La Settimana Santa, Pasqua e le tradizioni in Lucchesia raccolte nel volume di Giampiero Della Nina

LUCCA – Dopo la Domenica delle Palme, inizia la Settimana Santa: e da giovedì il Triduo pasquale con la benedizione degli Oli, la lavanda dei piedi, l’istituzione della Eucarestia, la Visita al SS.mo esposto; venerdì (astinenza e digiuno) la liturgia della Passione, l’adorazione della Croce, la Via Crucis; sabato la Veglia pasquale. Nell’ultimo libro di Giampiero Della Nina “La lucchesia e il suo folklore” (ed. Publied) il lettore può trovare comportamenti e tradizioni la cui origine il più delle volte si perde nella notte dei tempi (in parte ancora vive e spesso ormai dimenticate) che meritano comunque di essere conosciute: non potevano mancare ovviamente episodi del periodo pasquale.

 

Scrive l’autore: “Il mercoledì della Settimana Santa, ‘legate’ le campane, significava che non avrebbero piú suonato neanche per i funerali. Al momento in cui venivano ‘sciolte’, la vigilia di Pasqua, le persone, non importa dove si trovassero, si chinavano per baciar la terra (…). In mancanza delle campane, per richiamare i fedeli alle funzioni, ci si avvaleva delle ‘traccole’ o ‘traccanelle’ o ‘troccole’, come venivano chiamate, perché il nome variava da paese a paese. Ad Antraccoli era chiamata la ‘tremola’, a Villa Basilica, il ‘cassetturone’ ecc. Si trattava quasi sempre di un tino di legno, all’interno del quale, una ruota dentata metallica, azionata da una manovella posta all’esterno, veniva a contatto con una lama fissa anch’essa all’interno, producendo un forte rumore metallico, amplificato dal tino che faceva da cassa di risonanza. Ricordo che a Porcari, noi ragazzi avevamo scelto la collina, come luogo ideale per le nostre esibizioni canore e per raggiungere le molte famiglie del paese.
Una usanza veramente strana era quella di utilizzare la traccola per suonarla sotto le finestre dell’amata. E ancora più strano è che lo si facesse nella notte del Venerdì Santo. Risulta che questa fosse una tradizione che veniva da lontano, praticata a Tereglio e a Cardoso”.

 

Il giovedì, fra le funzioni, c’era la lavanda dei piedi. “A Castiglione di Garfagnana, alla sera di quel giorno, ha luogo la ‘processione dei crocioni’, cerimonia molto particolare per le modalità che la caratterizza. La figura centrale è il Gesù vestito di bianco, incappucciato, a piedi scalzi, incatenato, impersonato da un uomo del paese la cui identità è conosciuta soltanto dal parroco e dal responsabile della Confraternita. La processione accompagnata dal suono dei tamburi dei figuranti, parte dalla chiesa di San Michele ed affronta un sentiero assai difficoltoso, illuminato dalle sole fiaccole dei partecipanti, nel corso del quale il Gesù che trasporta una grande croce cade tre volte. La tradizione vuole che colui che impersona Gesù rimanga chiuso in un armadio della sacrestia fin dal primo pomeriggio per uscirne di sera al momento della processione. Si avvicina all’altare dove riceve il bacio traditore di Giuda e dove i soldati lo catturano ponendogli sulle spalle la pesante croce. Tradizionale è pura la processione di Gesù Morto che ha luogo nella gran parte dei paesi della nostra Lucchesia. Un corteo muto e lento si snoda lungo le strade dei paesi e quando la processione non è animata da chi impersona Cristo, i centurioni, Barabba, Maria Maddalena, sfilano i chierichetti con i simboli della Passione: il gallo che cantò dopo il triplo rinnegamento di Pietro, la spugna contenente acqua e fiele, la corona di spine, il velo di Veronica.

 

Pasqua di Resurrezione
“Arriva finalmente Pasqua! I precetti della Chiesa imponevano di confessarsi e comunicarsi ‘almeno a Pasqua’; a chi lo faceva veniva rilasciato un biglietto liberatorio che poteva rivelarsi utilissimo contro eventuali pretese di scomunica. Quella certificazione era necessaria, per cui chi non aveva potuto o non aveva voluto confessarsi e comunicarsi, tentava in ogni modo di entrarne in possesso, magari con una buona mancia al sacrestano o acquistandolo da chi, per mezzo di stratagemmi o conoscenze in alto loco, era riuscito a procurarsene un congruo numero per farne commercio. Se non lo faceva, doveva rassegnarsi a leggere il suo nome e cognome su un pubblico tabellone …

 

“Dopo tanti digiuni, finalmente, a Pasqua si mangiava, e sulla tavola imbandita non potevano mancare le uova sode e la pasimata (pane in spicchi, profumato con anici), benedetti dal prete in conclusione della Messa solenne. Nella Media Valle, ed in altre località (ad esempio Gragnano), usava invece benedire la pasimata durante le funzioni del Giovedi Santo. Una volta a tavola, ancora prima di consumare le uova benedette che tradizionalmente aprivano il pranzo (mentre la pasimata lo accompagnava), i componenti della famiglia usavano chiedersi perdono vicendevolmente: il padre alla moglie ed ai figli, i figli ai fratelli, ai genitori ed ai nonni. Dopo una breve preghiera, il padre spezzava con le mani la pasimata e la distribuiva ai familiari i quali, prima di mettersela alla bocca, si facevano il segno di croce. Altro dolce tipico, preparato per il giorno di Pasqua, era la ‘criscente’ o ‘crescente’ o ‘criscenta’, come la chiamavano a Camporgiano”.

 

Lunedì è il giorno del ‘pellegrino’
Quello dopo Pasqua, conosciuto in quasi tutta Italia come ‘Pasquetta’, per i lucchesi della Piana è il giorno del ‘pellegrino’. Si chiama così perché ai tempi delle Crociate, in quel giorno, i pellegrini in partenza per la Terra Santa, si riunivano sotto la loggia del duomo di San Martino a Lucca. Anche oggi usa ‘fare il pellegrino’ andando fuori per una gitarella che culmina in una merenda con amici e parenti. A Porcari, usava, ed usa ancora, andare sulla ‘Torretta’ e nel bosco attiguo portando dietro pane, affettati, uova sode, olive e torte coi becchi, da consumare sul posto, dove si canta, si balla, si chiacchiera e dove si passano momenti di completa distensione. A Bagni di Lucca, il lunedì dopo Pasqua è il giorno della ‘merendella’, mentre a Partigliano è quello del ‘merendino’: possono cambiare gli appellativi ed i nomi delle località dove si trascorre, ma per tutti i lucchesi quello è il giorno della gitarella spensierata, da dividere in allegria con amici e familiari e che culmina nella tradizionale merenda. I ragazzi «giocavano ‘a ruzzolino’ con le uova sode … vinceva chi riusciva a portare al traguardo senza rompere le uova su un tracciato fatto per terra, o su di un cucchiaio in bocca correndo».

 

“In quel giorno, a Viareggio si celebra la festa della ‘pisalanca’. La pisalanca, in gergo versiliese è l’altalena. Un tempo, in quel giorno, le pinete si riempivano di bambini accompagnati dai loro genitori, i quali muniti di due solide corde le passavano sui rami più robusti e vicino a terra, le collegavano ad una asticella-sedile dove il bambino prendeva posto per farsi dondolare. Anche i genitori approfittavano di quella opportunità per riprovare l’ebbrezza del volo e rivivere i momenti più spensierati della fanciullezza. Genericamente si chiamava ‘pisalanca’ anche questo gioco che più esattamente alcuni definivano come quello del ‘pendolino’. Per questi ultimi la pisalanca era invece quel gioco antichissimo, descritto nei Fioretti di San Francesco. Vita di Frate Ginepro, cap. IX, che il religioso trova talmente attraente da non poter resistere dal provarlo”.

 

(Testo tratto da “La lucchesia e il suo folklore” e concesso dall’autore Giampiero Della Nina)

Fonte: Lo Schermo