PRATO – Dopo la notte, il risveglio. Continua a Prato il festival “Mediterraneo Downtown, promosso anche dalla Regione e che concluderà la sua tre giorni domenica 7 maggio. La seconda città toscana, dove abitano almeno centotrenta nazionalità diverse (un record, a suo modo), si era addormentata con le immagini del nuovo cinema mediterraneo, con il linguaggio del documentario e dell’inchiesta giornalistica: una dietro l’altra sullo schermo del sala del Med Movie Night al Pecci sfilano immagini diverse, storie di diritti umani in Israele e in Palestina, l’autentico colpo allo stomaco che è la scelta disperata di un padre che, per miseria e fame, decide in un campo profughi di vendere una figlia per sfamare una famiglia, e poi il ricordo di chi, fino a tre anni fa quando il regime di Gheddafi è caduto, è stato rinchiuso nelle carceri libiche di massima sicurezza e ci torna con i figli, le storie di emancipazione femminile, in Aghanistan, di venti ragazze e i loro allenatori che sfidano la tradizione, felici di giocare a calcio, e quindi Aziz, un bambino di otto anni che ha camminato verso i confini d’Europa cinque volte, sfidando con il padre i cani della polizia di confine ungherese e la prigionia promessa da Orban a tutti i migranti, anche i richiedenti asilo ed anche i bambini.
La notte si era chiusa così. E stamani Prato si è risvegliata continuando a parlare di diritti e di Mediterraneo, con un approccio pragmatico (che è parte del manifesto del festival ma anche della città degli stracci), con numeri ed oltre i luoghi comuni. Gli incontri si sono susseguiti al Museo del Tessuto e alla biblioteca Lazzerini, in contemporanea.
Il peso dei migranti nella finanza
Equità ed economia il primo approccio, con il racconto di alcune esperienze imprenditoriali che nel Mediterraneo di oggi vedono nella dimensione sociale, nella valorizzazione del territorio e nell’innovazione legata alle energie rinnovabili i punti di forza. Si è parlato anche di finanza, di quanto falso sia il luogo comune che oggi non ci siano soldi – ci sono eccome, è stato ripetuto, e non sono mai stati così tanti, ma non si investono nell’economia reale – ed è stata presentata poi la ricerca della Fondazione Finanza Etica, un’esclusiva del festival, sul contributo dei cinque milioni e mezzo di persone immigrate in Italia e dell’altro milione e 150 mila che hanno acquisito la cittadinanza italiana al saldo demografico di un paese dove le nascite sono sempre meno, il contributo all’economia e alle pensioni (con 10,9 milioni miliardi di euro versati nel 2015 contro lo 0,3% di pensioni di invalidità e vecchiaia godute e l’1,5 per cento di pensioni assistenziali), un tasso di occupazione del 58,8% contro il 56% degli italiani ma che dopo la crisi dal 2008 si è ridotto quattro volte di più rispetto a quest’ultimi. Rimane naturalmente l’ombra dello sfruttamento del lavoro migrante e delle rimesse non sempre trasparenti: 5,5 miliardi nel 2015, il dato più basso dal 2007, 64 miliardi in tutta Italia negli ultimi dieci anni., primo beneficiario con un quarto delle risorse la Cina seguita da Romania e Filippine.
Giornalisti e diritti delle donne
Sempre stamani si è discusso del ruolo dei giornalisti nel raccontare il proprio paese e svelare le menzogne dei potere – un lavoro anche rischioso – con la scrittrice bosniaca Azra Nuhefendic, il giornalista turco Can Dundar e il collega dell’Azerbaijan Arzu Geybullayeva. Si è parlato di femminismi: un’opportunità per andare oltre i dibattiti sul velo e conoscere le sfide dei movimenti attivi in Egitto, Serbia ma anche Afghanistan e e passando per l’Italia, con l’avvocata egiziana Nadia Nashat, l’attivista serba Lepa Mladjenovic, l’attivista (ed ex parlamentare espulsa) afghana Malalai Joya e Anna Pramstrahler di DiRe.
Rotte e confini
Le rotte del Mediterraneo, solcate nei secoli, possono diventare anche libri. Ne hanno parlato lo scrittore e giornalista Paolo Ciampi e Alessandro Vanoli, dal racconto di Fibonacci a quello di Saladino. Ma le rotte nel Mediterraneo sono oggi soprattutto quelle interrotte da muri e confini, veri ed esterni o frutto della burocrazia e interni, con strade che non portano più in Europa e diventano la causa di tragedie. Alcune di queste rotte sono oramai noti a tutti. Sono la rotta del Mediterraneo o quella Balcani. Ma ce ne sono anche altre, meno conosciute, che a Prato stamani hanno provato a raccontare. C’è la rotta del Brennero ad esempio, duecento persone nell’ultimo anno, con migranti che arrivano dal sud sbarcati riuscendo ad eludere i primi controlli od usciti dai centri di accoglienza e migranti, afghani e pachistani per lo più, che giungono da nord, dove la prima richiesta di asilo è stata loro negata. A Bolzano l’anno scorso erano in duecentocinquanta per strada, perché non c’erano strutture di accoglienza. C’è la rotta dalla Grecia, che si è ora riaperta, e c’è quella di Ventimiglia con la Francia, quindicimila passaggi in un anno da maggio 2016, una decina di morti, due campi di accoglienza e uno di questi affidato a doli volontari.
“Si stima che le famiglie e i parenti di chi fugge paghino tre miliardi di dollari l’anno a trafficanti di terra e di mare per far arrivare in Europa amici e parenti. Ma perché – propone padre Mussie Zerai -non si creano corridoi in cui facciamo diventare sponsor e garanti, come avviene in Canada, le famiglie che sono già in Europa?”. Non ci sarebbero oneri per lo Stato (o sarebbero molti meno) e non si finanzierebbe la criminalità .
La mattinata si conclude con un’analisi sulla nuova geopolitica del Mediterraneo, altro utile tassello di conoscenza.
Il festival per la vie di Prato
Non potevano mancare le mostre fotografiche in un festival che vuol attrarre un pubblico più vario e vasto possibile, laddove immagini e disegni riescono a volte meglio delle parole. Quattro sono le rassegne nel corso del festival toscano pratese: le foto di Stefano Chirato nell’ex chiesa San Giovanni che raccontano il fiume di persone in marcia dalla Siria all’Iraq all’Afghanistan verso l’Europa attraverso la rotta balcanica, le immagini della nave Aquarius impegnata nei soccorsi in mare sotto le logge in palazzo comunale, Simone Margelli con il suo reportage all’interno dei centri di accoglienza e Takwa Ben Mohammed, fumettista di origine tunisina, in Italia da quando aveva otto anni, che con ironia e leggerezza racconta, con il suo tratto di matita, la propria esperienza di giovane ragazza islamica alle prese con lo sguardo della società italiana.
Fonte: Regione Toscana