Porcari (LUCCA) –
LUCCA. «Non importa se otteniamo dei risultati o meno, se facciamo bella figura oppure no. L’essenziale è qualcosa che non si vede, ma si percepisce nel cuore»: così scrive Murakami, maratoneta e saggista giapponese, nel suo “L’arte di correreâ€. La corsa è uno stato d’animo privato. Stato d’animo che, con le dovute proporzioni, può esser preso in prestito per descrivere ciò che il podismo rappresenta per Marco Pallini, corridore montecarlese dell’Asd Porcari che il 16 aprile ha partecipato alla maratona di Boston, piazzandosi 666esimo su oltre 32mila partecipanti. Impresario edile, classe 1980, lontano anni luce dal professionismo, armato solo di disciplina e di passione, ha percorso i 42.195 km del tracciato con temperature vicine allo zero (è stata la maratona più fredda degli ultimi 30 anni), e malgrado il vento contrario e la pioggia, non solo ha tagliato il traguardo, ma lo ha fatto da primo degli italiani.
«La maratona di Boston è la più antica del mondo (la prima edizione è del 1897 ndr), e appena aperte le iscrizioni i pettorali finisconoin due ore – precisa Pallini – per partecipare le strade sono due: o compri il pettorale che costa 500 euro, o ottieni un tempo, negli ultimi 18 mesi in una maratona ufficiale, inferiore a un massimo prestabilito dagli organizzatori. Volevo arrivarci senza escamotage, e così ho fatto, col buon personale di Atene del 2016».
Partito da Firenze grazie a TerraMia (tour operator che organizza viaggi per maratoneti) dopo uno scalo a Monaco, Pallini è arrivato a Boston il 14 aprile. Nemmeno il tempo di prendere confidenza con la città , che è già giorno di gara: pettorale 2091 e via, con europei, kenioti ed etiopi, questi ultimi i più accreditati per la vittoria. «L’arrivo è a Boston, la partenza a Hopkinton. Si attraversano varie realtà immerse nel verde, per poi giungere in Copley Square. Il pubblico è numerosissimo. Avevo due obiettivi prima della competizione: con un clima mite rimanere sulle 2 ore e 46 minuti, l’altro essere il primo italiano. Ma la pioggia mi ha fregato: tanti sono stati ricoverati per ipotermia. Il vincitore, a discapito dei pronostici, è stato un giapponese, e io mi sono fermato a 2 ore e 51, ma sono comunque riuscito a piazzarmi primo tra gli italiani».
Una maratona, che dopo la strage terroristica del 15 aprile 2013 che provocò tre morti e oltre 300 feriti, e di cui Il Tirreno riportò il drammatico racconto dei tanti toscani in gara, è profondamente cambiata: «I marines perlustravano il percorso in lungo e in largo – spiega Pallini – c’erano l’esercito ed elicotteri dappertutto. Finita la corsa, per motivi di sicurezza, noi maratoneti abbiamo camminato per oltre un km sotto la pioggia, scortati dalla polizia: eravamo esausti, e per la stanchezza ho fatto la doccia in albergo completamente vestito». Il podista di Montecarlo sa che Boston però, così come la corsa sulla Grande muraglia cinese cui ha partecipato l’estate scorsa, è solo una tappa: «Punto nel gennaio 2019 a correre la World Marathon Challenge: 7 maratone in 7 giorni in 7 continenti diversi, dall’America all’Africa, passando per il Giappone, l’Australia e il Portogallo, con partenza dall’Antartide. Una sfida a cui partecipano solo 57 corridori nel mondo, e mai nessun italiano finora. Grazie a Ulule (portale di crowdfunding ndr) dalla prossima settimana sarà attiva una raccolta fondi per offrirmi la possibilità di partecipare: servono 35mila euro. E a chi mi darà una mano prometto spillette, ringraziamenti sui social, nomi sulla mia tenuta da gara e tanti altri gadget. Ho chiesto aiuto anche al mio sponsor, la Sofidel, per permettere a Giacomo Frediani, il mio manager, di venire con me: dalla mia esperienza, vorrebbe ricavarne un docufilm». Quasi prossimo ai 40 anni Pallini sa anche guardarsi indietro, e non rimpiange di non
aver potuto vivere della sua passione: «La mia più grande soddisfazione è esserci, e potermi migliorare ogni qualvolta gareggio. Correre è la mia passione, mi permette di staccare la spina, tagliar fuori i problemi ed essere libero, in pace con me stesso». Come Murakami, in fondo.
Fonte: Il Tirreno